A quasi tutti i datori di lavoro privati sarà capitato, almeno una volta e di primo mattino, di ricevere la telefonata (o magari un messaggio via WhatsApp) di un proprio dipendente, e sentirsi dire: “Capo, so’ malato! Oggi sto a casa”.

Sono sufficienti un messaggio o una telefonata per giustificare l’assenza?

Come devono comportarsi datore di lavoro e lavoratore in questi casi?

La malattia, in gergo tecnico, è definita un’alterazione dello stato di salute del lavoratore che incide sulla capacità lavorativa dello stesso, fino a determinare la sospensione del rapporto di lavoro. In altre parole, il lavoratore che si è ammalato non può lavorare e il rapporto di lavoro subisce una momentanea sospensione. In questi casi, il primo dovere del lavoratore consiste nell’ avvertire tempestivamente il proprio datore di lavoro dell’assenza, con ogni mezzo a sua disposizione, dopo di che contatterà il proprio medico curante che potrà certificare lo stato “concreto ed attuale” della sua malattia – “concreto” in quanto incide negativamente sulla normale attività lavorativa del soggetto colpito, e “attuale” nel senso che la prosecuzione della lavorazione potrebbe provocare ulteriori rischi di malattia. Il dottore stabilirà la diagnosi – cioè la patologia che ha causato il malessere al lavoratore – e la prognosi – i tempi e le modalità di recupero per il rientro a lavoro – e poi provvederà ad inviare telematicamente all’Inps c.d. certificato di malattia.

Sarà, infine, cura del lavoratore far pervenire copia del certificato medico, oppure comunicare il n. di  protocollo di quest’ultimo al datore di lavoro, a supporto e giustificazione della sua assenza; il lavoratore, anche volendo, non potrà far rientro sul posto di lavoro prima che sia decorso il periodo di prognosi stabilita dal suo medico, e in caso di prolungamento della malattia rispetto alle previsioni iniziali, dovrà informare volta per volta il suo datore di lavoro e continuare a comunicare gli estremi degli attestati di malattia a supporto. Nel caso di guarigione anticipata, il lavoratore dovrà chiedere la rettifica della data di fine della malattia per avere la possibilità di rientrare prima al lavoro.

Una cosa da non sottovalutare, è che lo stato di malattia certificato dal medico può comunque essere oggetto di controlli disposti direttamente dall’INPS oppure richiesti dal proprio datore di lavoro. Per questo motivo, il lavoratore è obbligato a rispettare le c.d. fasce orarie di reperibilità:

dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 17:00 e le 19:00 giornaliere

(per i lavoratori del settore pubblico le fasce di reperibilità sono più ampie, dalle 09:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00). In caso di assenze ingiustificate, infatti, è prevista la perdita graduale  dell’indennità di malattia. Ci sono delle deroghe a questo obbligo, individuate dalla legge – come, ad esempio, patologie gravi che richiedono cure salvavita o stati patologici connessi a disabilità –, per le quali vi è l’esonero del rispetto delle fasce di reperibilità.

L’insorgere di una malattia e, conseguentemente, l’inoltro di un documento che attesti un’assenza giustificata dal lavoro, garantiscono il rispetto di un fondamentale diritto, quello alla conservazione del posto di lavoro, disciplinato dall’articolo 2110 del codice civile, per tutta la durata del c.d. periodo di comporto, stabilito dai singoli C.C.N.L., periodo definito “secco” quando è unico e continuativo, oppure “frazionato”. Ciò significa che durante questo tempo il datore di lavoro non può procedere al licenziamento del lavoratore, né questi per evitare di superare il limite stabilito per il comporto, potrà sospenderlo chiedendo di usufruire delle ferie precedentemente maturate.

Anche se sembra superfluo ricordarlo, la malattia non deve essere mai confusa con la gravidanza, l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale, ma di questi istituti ci occuperemo in futuro.

Quanto agli obblighi del datore di lavoro, di fatto sono due:

  1. è tenuto al pagamento diretto dell’indennità di malattia al lavoratore, anticipando gli importi di competenza a carico dell’INPS – salvo i casi in cui essa sia corrisposta direttamente dall’ente previdenziale. In questo caso, il datore di lavoro agisce in via sostituiva dell’INPS ed è autorizzato a compensare le somme da lui anticipate con quelle che avrebbe dovuto versare allo stesso ente previdenziale a titolo contributivo, in sede di conguaglio;
  2. è tenuto a corrispondere la retribuzione per i giorni e nei casi in cui la copertura economica dell’evento sia, in tutto od in parte, a suo carico e previsto dal CCNL di riferimento.

È sicuramente a carico dell’INPS, talvolta con pagamento diretto, l’indennità giornaliera per i lavoratori subordinati delle seguenti categorie:

  • operai dell’agricoltura, dell’industria e dell’artigianato
  • operai ed impiegati del settore commercio e turismo
  • lavoratori soci di società ed enti cooperativi.

Il datore di lavoro, normalmente, è tenuto ad integrare l’indennità di malattia per consentire al lavoratore il raggiungimento del 100% (o la diversa percentuale prevista dalla contrattazione collettiva di settore) della retribuzione mensile che gli sarebbe spettata se avesse lavorato regolarmente. Inoltre, l’indennità di malattia erogata dall’INPS, non è considerata imponibile ai fini contributivi, ma verranno ugualmente riconosciuti al lavoratore dei contributi c.d. “figurativi”, utili ai fini del diritto e della misura della futura pensione.

Non rimane che una sola cosa da aggiungere: speriamo che questo inverno il raffreddore non bussi alle porte di nessuno di noi!

Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

 

 

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