Per la categoria ‘Interviste’ del nostro blog oggi ospitiamo un altro cliente del nostro Studio.
Si tratta di Elisa Bruttini, Direttore scientifico della Fondazione Musei Senesi, alla quale abbiamo chiesto di raccontarci il modello di rete museale di cui la Fondazione è un esempio, gli strumenti di cui si è dotata e l’applicazione dell’innovazione tecnologica alla promozione, dell’arte, della cultura e del proprio territorio.
Buona lettura!
1) Potresti spiegare in poche parole di cosa ti occupi, cos’è la Fondazione Musei Senesi e in quale ambito opera? Cominciamo dalla Fondazione Musei Senesi, che è la rete museale delle terre di Siena. Per rete museale si intende un insieme di musei – nel nostro caso nume-roso, ben 45 – che decidono di aderire a un unico sistema, che può essere territoriale, come noi, o tematico, convinti che l’unione faccia la forza. In termini tecnici, diremmo che una struttura di coordinamento come la nostra è tesa all’ottimizzazione di risorse in logica di economie di scala, di scopo e di qualità; nella pratica, ci piace pensare che la Fondazione Musei Senesi sia la cornice entro cui questi musei operano, ciascuno secondo le proprie vo-cazioni, ma in un quadro coerente e omogeneo che restituisce una forte identità a questo ter-ritorio. La Fondazione Musei opera dunque nel settore del patrimonio culturale, ma sarebbe riduttivo immaginare che ci occupiamo di promuovere i musei in senso stretto: oggi i musei non possono solo conservare ed esibire opere e collezioni, ma devono interagire con i pubblici (le comunità locali in particolar modo) e rimanere rilevanti (la rilevanza è, assieme alla sostenibilità, il mantra che ci ripetiamo) nelle nostre vite quotidiane, assorbite da tante preoccupazioni e, nel tempo libero, da tante altre opzioni spesso percepite come più leggere, meno difficili e faticose. Per questa ragione i musei devono “piegarsi” ad attività che ci sembrano talvolta curiose o anomale, ma che accentuano il loro ruolo di presidi sociali e di educazione civica: non vuol dire che perdono il loro valore storico, anzi, questo si amplifica e si declina in significati più attuali e rinnova il modo in cui possiamo leggere quelle stesse collezioni. Dunque, sono una storica dell’arte, ma con la sensibilità e l’approccio critico di questa disciplina direi che occuparsi di musei per me significa che soprattutto mi pre-occupo che la nostra Fondazione, che è un ente no-profit basato sul bene comune, agisca in respon-sabilità, rispettando le professionalità degli operatori, le aspettative dei pubblici, le necessità delle amministrazioni. Cerchiamo di tenere in equilibrio le diverse istanze, di sostenere i musei proponendo attività di rete appunto e reperendo finanziamenti, e soprattutto di creare alleanze e mantenere relazioni, che è la parte difficile e bellissima di questo continuo eserci-zio di humanitas.
2) È stato o è difficile diffondere arte, cultura e tradizioni del territorio? Che strategia di marketing è stata (e/o viene tuttora) adottata? Abbiamo la fortuna di vivere in un territorio che è già di per sé un brand: soprattutto per i turisti stranieri, le terre di Siena sono Pienza, San Gimignano, Montepulciano, Montalcino e le relative eccellenze enogastronomiche forse più che artistiche, e soprattutto nel territorio più che in città le permanenze nelle strutture extralberghiere sono piuttosto significative. Difficile è avvicinarli ai musei magari nei borghi più piccoli e difficili da raggiungere, dove spesso ci sono collezioni davvero eccezionali, e invitarli a cogliere quel legame tra i diversi musei e le varie collezioni, leggere insomma una storia straordinaria che parte magari con gli Etruschi in Val di Chiana, prosegue col Medioevo valdelsano, passa dai paesaggi del Chianti e della Val di Merse, alle scoperte scientifiche e alle realtà industriali del Sette e Ottocento. Quando parliamo di “museo diffu-so” intendiamo questa capillarità di penetrazione della cultura nelle pieghe geografiche di un territorio e la possibilità di vedere le opere a pochi metri dai loro luoghi di provenienza (un elemento che si perde di fatto nei grandi musei, dagli Uffizi al Louvre, in cui le opere sono decontestualizzate).
Comunicare una fondazione non è facile: si tratta di un soggetto astratto ed etereo che trova pienezza grazie ai musei che ne fanno parte, e rispetto ai quali dobbiamo mantenere un ap-proccio “democratico” senza inneggiare ai capolavori ma dando spazio a tutti. Nel febbraio del 2020, a seguito di un progetto di rilancio strategico complessivo, abbiamo rinnovato il nostro marchio e il sito istituzionale, in un periodo infelice visto che di lì a poco ci saremmo barricati nelle nostre case e i musei avrebbero chiuso le loro porte. Ma abbiamo cercato di usare questo tempo per rafforzarci, e nell’ultimo anno e mezzo l’immagine della Fondazione è decisamente cambiata, recuperando la forza di qualche anno fa, superando una fase critica comune a tanti altri istituti culturali e legata alle sorti complesse dell’economia della città e non solo. La nostra strategia di marketing si condensa nel payoff che accompagna il logo, “un territorio, tante storie”: si tratta di un invito alla scoperta delle terre di Siena e all’ascolto dei racconti che vengono dalle opere e dalle persone e che tutti noi contribuiamo a scrivere e a tenere vive. Tanto più in epoca di globalizzazione e di post-pandemia, i piccoli borghi, lon-tano dalle rotte trafficate, autentici scrigni di bellezza e tradizione, ma anche sicuri e rarefat-ti, speriamo che possa essere una chiave di lettura della nostra rete.
3) Innovazione tecnologica, sostenibilità, digitalizzazione come vengono declinate dalla Fondazione? Certo questi tre termini oggi so no percepiti come un continuum: da tempo il patrimonio cul-turale affronta il grande tema della digitalizzazione (che non è distribuire foto in alta risolu-zione da zoomare fino a scorgere i dettagli infinitesimi), spesso associato alla catalogazione o comunque alla gestione di metadati che consentano un’architettura replicabile, interoperabile, incrociata e aggiornabile, ancora più spesso al concetto di democrazia culturale, laddove nell’impossibilità di recarsi al museo almeno possiamo fruirne “a distanza” – e dunque interviene anche l’innovazione tecnologica, che dalla realtà virtuale in su colma i limiti fisici di una visita appunto “in presenza”. Sinceramente, siamo convinti che il museo sia un luogo di relazioni e che il contatto con le opere (che è poi con il palazzo storico in cui spesso i musei hanno sede; con gli operatori museali che sono il biglietto da visita di quel museo; con la comunità che lo ha prodotto e conservato; con il borgo che lo ospita e il paesaggio che lo circonda) sia ancora fondamentale per una esperienza emotivamente e intellettualmente si-gnificativa. Gli strumenti digitali, indispensabili, sono tuttavia uno strumento di divulgazione di ampio raggio che, se ben indirizzati, possono facilitare lo studio e il progresso della ricerca – uno dei fattori fondanti del museo assieme all’educazione e al diletto. E, appunto, fornire occasioni piacevoli, divertenti e formative insieme. Anni fa siamo stati nelle avanguardie italiane quanto a realizzazione di applicazioni per dispositivi mobili (ricordo fra tutte “Il museo in tasca”, che speriamo di rilasciare presto in versione rinnovata, pensata come app cluster in grado di raccogliere più musei in più lingue, LIS inclusa, con un rimando ai territori e con alcuni contenuti visibili solo dopo il check-in in museo); e ancora nel 2014 lanciammo gli ArtGlass a San Gimignano, antesignani dei Google Glass mai giunti in Italia. La tecnologia richiede investimenti ingenti non solo per la produzione, ma soprattutto per la manutenzione e l’aggiornamento: dal nostro punto di vista, oggi è importante proseguire con progetti di questo tipo, ma senza separarli in troppi rivoli e piuttosto legarli alle esigenze concrete dei musei, prima fra tutte la conservazione.
4) Nell’era dei social, ritieni il loro uso importante per divulgare le vostre attività? Se sì, in che modo viene gestita, vi siete affidati a specialisti del settore o avete cercato di svi-luppare queste competenze al vostro interno? Senz’altro oggi i social sono fondamentali anche per i musei, e devono essere pervasivi e persuasivi. Una strategia di comunicazione social è fondamentale e deve essere programmata attraverso un piano editoriale strutturato e con criteri definiti, meglio se diversificati rispetto ai diversi canali. In parallelo al nostro rilancio strategico, negli ultimi anni abbiamo accentuato il peso di questi strumenti per promuovere i musei e la Fondazione e abbiamo ri-tenuto opportuno avvalerci di professionisti esterni (è il caso di Idem Adv), ma anche di far leva su giovani risorse interne: oggi lo staff che si occupa di social e comunicazione è il più numeroso e articolato in Fondazione, e vede coinvolte quattro persone tra content editor e digital media manager, a cui si aggiunge un’assegnista di ricerca che si occupa del monito-raggio dei pubblici, digitali e fisici. Si tratta di un ambito che è ancora in crescita e richiede ulteriori investimenti, che ha messo da parte, almeno per ora, la comunicazione cartacea, e che richiede una continuità assoluta, nella pubblicazione dei contenuti come nell’interazione con gli utenti. Il nostro sforzo si concentra soprattutto su Facebook e Instagram, sui quali cerchiamo di declinare in modo diverso quanto sono diversi i pubblici i vari post; su Youtube, come archivio relativamente statico dei contenuti video; abbiamo anche aperto un canale Spotify, FMStreaming, sul quale via via inseriremo contenuti audio prodotti dai musei e in-terviste.
5) A chi si rivolgono le vostre azioni, gli eventi e le iniziative che vengono organizzate? Sa-rebbe possibile ipotizzare nuovi percorsi da esplorare o, al momento, tutto sembra es-sere già stato sperimentato? Le nostre attività sono sostanzialmente a servizio dei soci – in buona parte amministrazioni comunali – e dei musei, ma in teoria non a diretto beneficio dei visitatori, che raramente “vediamo” di persona (e peraltro gli operatori museali non hanno rapporti di subordinazione con noi ma appunto con le amministrazioni): per assurdo quelli con cui abbiamo più contatto sono proprio i pubblici digitali. Questa è una complessità tutt’altro che banale perché quando parliamo di audience development e audience engagement e cioè di ripensare il processo di coinvolgimento dei visitatori attraverso forme di co-progettazione e di ascolto della do-manda, noi dobbiamo convincere prima gli amministratori, poi i musei e infine i pubblici. In questo senso, la fiducia, la credibilità di un’istituzione diventano fondamentali e le persone (operatori, direttori, professionisti) diventano portavoce di valori condivisi.
Posta questa premessa, le nostre iniziative sono volte soprattutto a promuovere attività di si-stema che mettano in relazione i singoli musei, e a promuoverne la conoscenza sia presso i visitatori abituali (le comunità locali) sia verso quelli più occasionali (i turisti). Per nostra vocazione istituzionale e anche per convinzione sincera, vorremmo concentrarci sui primi: per questo ci impegniamo per favorire i musei rispetto alle attività educative per le scuole, a quelle inclusive rispetto ai pubblici fragili (penso in primis ai laboratori per le persone con Alzheimer e ai progetti di accessibilità). Ovviamente restano gli eventi (compresi quelli espositivi, soprattutto se motivati da novità scientifiche e legati alle collezioni permanenti), e le iniziative ordinarie (che vanno dagli incontri con gli artisti, ai trekking, alle presentazioni di volumi e così via). Questa estate abbiamo finalmente inaugurato un progetto, tuttora in divenire, ma per noi cruciale: la FMS Card, un biglietto unico per l’accesso facilitato ai musei senesi, ma anche uno strumento di promozione territoriale che finalmente dà concretezza al sistema museale, che offre ai visitatori una buona ragione per sostare nel nostro territorio e apprezzarlo, e ai nostri abitanti un modo per sostenere il patrimonio a cifre simboliche e scoprire quello che spesso diamo per scontato magari sfruttando una gita fuori porta.
Per fortuna mi sento di dire che non è stato ancora tutto sperimentato, anzi sul nostro territo-rio molte sono le novità che vorremmo introdurre e l’auspicio è quello di riuscire a preparare il terreno giusto: i musei sono un serbatoio inesauribile di contenuti che continua a sorpren-derci e ad appassionarci.
6) Raccontaci quali sono stati i riconoscimenti che la Fondazione ha ricevuto in questi anni? Negli anni scorsi, la Fondazione – che è una delle reti museale più complesse e longeve in Italia – ha effettivamente riconosciuto importanti riconoscimenti: cito il premio per la cultura di gestione (Federculture, 2013) e ancora la menzione per il filone “Musei e Paesaggi Culturali” (ICOM International Council of Museums, 2016). Siamo orgogliosi dei ricono-scimenti ottenuti anche dai nostri musei nell’anno d’oro, il 2017: il Premio Silvia dall’Orso al Museo Multimediale I luoghi del mercurio di Abbadia San Salvatore, allestito da Studio Azzurro; il Premio Art Bonus dell’Archeodromo di Poggibonsi; il Premio Touring al Museo San Pietro a Colle di Val d’Elsa. Di recente non possiamo vantare altri premi, ma molto spesso siamo contattati da istituti italiani o internazionali per portare una testimonianza, e questo già per noi, anche in ottica di scambio di buone pratiche e dialogo interculturale, è un grande risultato. Quest’anno ad esempio abbiamo affiancato alcuni percorsi formativi (Fer-rara, Udine, e nei prossimi giorni un corso per i musei latino-americani con la Scuola del Pa-trimonio) e partecipato a numerose giornate di studio (poche settimane fa, ad esempio, al workshop Musei Emotivi).
7) Qual è il rapporto con le altre realtà museali toscane e/o nazionale? Ci sono forme di scambio e di condivisione delle proprie attività? La principale vocazione di Fondazione Musei Senesi è fare rete: nel corso del 2020 abbiamo siglato numerosi protocolli d’intesa proprio con altri sistemi museali toscani: i musei statali della Direzione Regionale Toscana (i nostri musei sono tutti non statali); i Musei di Ma-remma; il Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona, capofila dei musei della Val di Chiana aretina; e ancora siamo alla firma con i Musei di Volterra. Tanto più in questo periodo di difficoltà, il dialogo coi colleghi è stato un conforto e un supporto per far sentire più forte la nostra voce – penso ai recenti appelli al Ministro Franceschini per un sostegno più strutturato ai piccoli musei e per l’abolizione di quelle restrizioni che, pur necessarie alla sicurezza, nei mesi della pandemia risultavano poco pertinenti ai musei minori. Abbiamo in programma alcune attività condivise, che vanno dalla formazione degli operatori all’organizzazione di incontri e mostre, e già all’attivo questi musei già fanno parte o stanno aderendo alla nostra card, creando un’offerta di ampio respiro che trova fondamento nel le-game storico (e nelle collezioni spesso parallele) con alcuni territori limitrofi.
8) In un momento così difficile per il settore culturale, a causa degli effetti della pandemia, e delle conseguenti restrizioni che il settore dei musei ha subito, quali sono gli obiettivi da raggiungere e come sarebbe possibile superare le difficoltà senza rinnegare il proprio lavoro? In fin dei conti, cos’è la cultura nel XXI secolo? Nessuna intenzione di rinnegare i fondamenti etici del nostro lavoro e, nonostante tutto, nes-sun calo di passione. Oggi lavorare nella cultura trova un senso ancora più profondo: abbia-mo il dovere di mantenere vivi e significativi questi presidi, di renderli spazi accoglienti per ogni visitatore, o meglio, per chi ancora visitatore non è e ha bisogno di superare certe bar-riere. I musei devono essere calati nella contemporaneità e affrontare tematiche calde, dalla sostenibilità energetica alla diversità culturale. La sfida è piuttosto combinare le tante fun-zioni che siamo chiamati a svolgere con competenza e insieme con umiltà, collaborando coi professionisti di tanti e altri settori (consulenti come voi inclusi!), mantenendo vivo nella gente comune e non solo negli specialisti il desiderio di una cultura che, nel XXI secolo, è spesso appiattita a manifestazione episodiche e di basso livello, e che invece, a partire dai nostri piccoli musei, è palpabile e fa parte della nostra coscienza civica.
Elisa Bruttini
Direttore scientifico
Fondazione Musei Senesi
Sede legale: Piazza Duomo, 9
Sede operativa: Banchi di Sotto, 34
53100 Siena
Tel. 0577 530164