Il COVID-19 ci ha catapultati – senza preavviso – in uno stile di vita completamente diverso da quello a cui eravamo abituati. Tutti abbiamo dovuto accelerare l’apprendimento dei processi di digitalizzazione per rimanere a galla nel mare di connessioni e di videochiamate che ha sommerso il nostro vivere quotidiano. Tuttavia, non tutti i mali vengono per nuocere: le scuole e le università, del tutto impreparate, sono state costrette a ricorrere alla formazione a distanza (FAD) che, paradossalmente, ha rappresentato una sorta di giubbotto salvagente per gli studenti-lavoratori rendendo conciliabili entrambi gli impegni senza pregiudicare né l’uno né l’altro. La possibilità di frequentare le lezioni online – da casa o dall’ufficio – ha consentito un’ottimizzazione del tempo e delle energie che altrimenti si sarebbero disperse lungo il tragitto per recarsi in facoltà.

In Italia, però, a partire dal 2004, le Università telematiche avevano già dimostrato di essere una valida alternativa per tutti coloro che desideravano investire su sé stessi e sulla propria crescita e formazione personali, nonostante i numerosi pregiudizi alimentati da chi ha sempre messo in dubbio la qualità dell’insegnamento impartito dalle stesse. Infatti, sono undici le Università telematiche italiane accreditate dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) e tra le più conosciute citiamo la Unicusano, l’Università Telematica Pegaso, l’Università Telematica Internazionale UniNettuno e – l’unica statale – l’Unitelma della Sapienza di Roma.

Per chi lavora e ha smesso da tempo i panni dello studente,  l’immatricolazione a tempo parziale  e la frequenza delle lezioni in via telematica potrebbero essere un’alternativa interessante per tornare a studiare, indipendentemente dal fatto di essere un lavoratore a tempo pieno o meno. Infatti, questa è una modalità di iscrizione proposta dalle università statali che consente di suddividere un anno accademico in due (evitando così il temuto “fuori corso”), per cui per una laurea triennale di anni ne occorreranno sei, pur rimanendo in corso. Purtroppo però è meno flessibile e meno conveniente rispetto alla regolare iscrizione, in quanto ci sono alcuni svantaggi da non sottovalutare: quello economico (esclusione dal bando di borse di studio), il limite massimo di esami da poter sostenere a seconda dei CFU (credito formativo universitario) di ogni materia, ecc.

Tutto questo però è stato indirettamente arricchito da ciò che dicevamo in premessa: oggi molti atenei  hanno adottato forme di insegnamento miste, alternando FAD e formazione in presenza come misure atte a contrastare la diffusione del virus, e questa potrebbe diventare un’opzione permanente e una modalità di frequenza che incentivi più lavoratori ad iscriversi a corsi di laurea di qualsiasi livello, per ottenere una maggiore qualificazione con migliori prospettive di carriera.

La Costituzione italiana, all’art 35, sancisce che la  tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, la cura, la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, pertanto tutti i lavoratori sono tutelati con il diritto allo studio.

In particolare, lo Statuto dei Lavoratori prevede turni che agevolino la frequenza ai corsi di formazione e la preparazione agli esami, oltre ai permessi retribuiti per sostenere tali esami, ma per usufruirne il lavoratore dovrà presentare la documentazione rilasciata dall’istituto universitario che attesti l’effettiva presenza all’appello a prescindere dall’esito finale della prova e anche il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (C.C.N.L.) può apportare dei miglioramenti con altre agevolazioni come:

  • l’esonero del lavoro straordinario
  • le 150 ore di permesso straordinario retribuiti in 3 anni, suddivisi in 50 ore annuali riservate per frequentare i corsi in concomitanza con l’orario di lavoro o per la preparazione della tesi.
  • la possibilità al lavoratore part-time di revocare il consenso prestato alla clausola elastica con la quale il datore di lavoro modifica la collocazione e la durata dell’orario di lavoro.

La Legge n. 50/2000 ha poi introdotto il congedo formativo che consente ai lavoratori-studenti (con un’anzianità di almeno 5 anni presso lo stesso datore di lavoro) di richiedere una sospensione del rapporto di lavoro, con diritto alla conservazione del posto, per un periodo massimo di undici mesi (continuativi o frazionati) nell’arco dell’intera vita lavorativa. Il datore di lavoro potrebbe rifiutare o ritardare tale richiesta ma solo per ragioni organizzative aziendali. E se per caso, caro lettore, sei in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di studio, sappi che puoi lavorare per un massimo di 20 ore settimanali e un limite annuale di 1.040 ore.

Insomma, laurearsi lavorando è fattibile? Sì, soprattutto approfittando degli appelli straordinari dedicati agli studenti-lavoratori di alcune Università. E anche se la decisione di intraprendere un duplice percorso altamente faticoso è personale, oggettivamente è un’opportunità da non lasciarsi sfuggire, a qualsiasi età.

Noi possiamo augurare ‘buono studio’ a tutti quei lavoratori che decideranno di tornare sui libri perché, come sappiamo,  nella vita non si smette mai di imparare!

 

 

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